giovedì 15 ottobre 2009

Arriva dall'Argentina l'avversario in spagnolo di Twitter

La grafica, il logo e le impostazioni sono molto simili a quelle dell'originale Twitter e questo forse ha aiutato la sua diffusione nel mondo di lingua ispanica, ma quello del social network "latino" Birddi sta diventando un vero e proprio caso in America latina. Il suo creatore Martin de Lio ha 19 anni, frequenta la Universidad tecnologica nacional (Utn) e ha un taglio di capelli un po' "emo". L'idea gli è venuta quando si è reso conto che tra i tanti cloni del sito americano mancava quella in spagnolo, nessuno chiedeva agli utenti sudamericani e spagnoli "Que estas haciendo?" (cosa stai facendo?). Ci ha pensato questo ragazzino con la passione per la tecnologia e la faccia tosta di "copiare" quasi integralmente il sistema del social network originale, cercando di salvare la faccia spiegando di aver sviluppato il suo progetto "a causa della saturazione di Twitter" e dello scarso utilizzo dell'originale da parte degli utenti di lingua spagnola. Il sito è on line dalla metà di luglio e ha già raccolto migliaia di iscritti, cinquemila solo nella prima settimana, che si trovano soprattutto in Argentina, Messico e Cile, ma sono sparsi anche in tutto il mondo. Birddi è infatti diventato uno strumento di comunicazione per i "latinos" che hanno lasciato il proprio Paese per emigrare negli Usa e in Europa.

Il suo creatore sottolinea come Birddi sia una maniera "semplice e rapida" per tenersi in contatto con i propri amici attraverso messaggi di testo di 140 caratteri, rispondendo alla domanda "che stai facendo?". L'iniziativa di De Lio è finita anche sulle pagine del Washington post e di El Pais e a chi lo accusa di aver creato un "clone" di Twitter, il giovane argentino risponde che mentre il simbolo di Twitter è un uccellino qualsiasi, quello di Birddi è un colibrì, l'uccello più piccolo del mondo. Il ragazzo argentino poi anticipa che presto arriveranno una serie di modifiche al sistema, con nuove funzioni a disposizione degli utenti, ma non cambierà la grafica del suo sito. Tra l'originale e la sua versione argentina c'è però anche un'altra differenza: offre spazi alle pubblicità di Google Adsense. Chissà se il colibrì "latino" sopravviverà all'arrivo della versione in spagnolo del social network americano, recentemente annunciata dai suoi creatori. (mat)

da www.ilvelino.it

venerdì 2 ottobre 2009

Honduras, Zelaya: Sono disposto ad affrontare la giustizia

“Sono disposto ad andare in tribunale e a rispondere delle accuse contro di me. Mi è stato impedito nel momento in cui mi sono state presentate perché i militari mi hanno portato fuori dal Paese. Per questo sono tornato, perché sono innocente”. A dichiararlo è il presidente eletto di Honduras Manuel Zelaya, deposto lo scorso 28 giugno, in un’intervista telefonica concessa al quotidiano uruguaiano [El Observador. Zelaya si trova da oltre una settimana barricato nell’ambasciata brasiliana di Tegucigalpa dopo essere rientrato clandestinamente nel Paese e dovrebbe rispondere di numerosi capi d’imputazione per reati politici e comuni.

“Io non ho violato la Costituzione. Non l’ho mai fatto” sostiene il presidente eletto nel rispondere alle accuse di aver tentato di organizzare un referendum costituzionale che gli avrebbe permesso di perpetuarsi al potere nonostante la bocciatura della Corte Suprema, di buona parte del Parlamento e delle forze armate. “Non si sarebbe trattato di un referendum – spiega -. Questa è una menzogna che gli oppositori usano per screditarmi. Si tratta di una consultazione non vincolante che non riformava nessuna legge né stabiliva la possibilità di una rielezione”. Secondo Zelaya gli Stati Uniti stanno agendo in maniera positiva per risolvere la crisi politica di Honduras, ma non in maniera sufficiente: “So che il presidente Obama sta lavorando su questo. La condanna del golpe da parte degli Usa è stata chiara, ma quello che hanno fatto per ristabilire la democrazia non è stato sufficiente”. Sulle varie ipotesi di accordo con il governo de facto che circolano in questi giorni, infine, il presidente eletto spiega la sua posizione: “L’ho ripetuto moltissime volte: la soluzione di questa crisi passa per il mio ritorno alla presidenza, per il rispetto che si deve alla democrazia”. (mat)

da www.ilvelino.it

Honduras, Micheletti: Pronto a lasciare se si rispetta il voto

“Sono pronto a farmi da parte se verranno riconosciute le elezioni di novembre”. “Stiamo lavorando per derogare il decreto” che ha limitato le libertà costituzionali. “Rispetteremo la sovranità dell’ambasciata brasiliana” dove si è rifugiato il capo di Stato eletto Manuel Zelaya. Sono i passaggi chiave di un’intervista concessa dal presidente “de facto” di Honduras Roberto Micheletti al quotidiano cileno La Segunda. Un’intervista con la quale il capo di Stato ad interim, arrivato al potere il 28 giugno scorso dopo la deposizione di Zelaya, precisa alcune delle ultime decisioni maturate a Tegucigalpa. “Ho detto molte volte che io non sarò d’intralcio, né per le elezioni né per il processo elettorale” ha spiegato Micheletti dicendosi “pronto a farmi da parte se necessario”. Ma sempre a patto che non si mettano in discussione le elezioni: “Tutte le opzioni devono essere messe sul tavolo del confronto, eccetto la cancellazione o il mancato riconoscimento delle elezioni di novembre”. Proprio la convocazione alle urne rimane la soluzione “legale e giusta alla crisi attuale. È l’opzione che preferiscono tutti i candidati e il popolo di Honduras, che deve avere l’ultima parola in questa situazione”.

Micheletti ha poi spiegato che le misure di emergenza, disposte la settimana scorsa per arrestare gli “irresponsabili” appelli di Zelaya “alla violenza”, potrebbero avere le ore contate: “Abbiamo già cominciato il processo legale per derogare il decreto su richiesta del Congresso”, ha spiegato. Il governo “de facto” aveva deciso di sospendere alcune garanzie costituzionali arrivando anche alla chiusura di Radio Globo e all’emittente televisiva Canal 36. “Il nostro governo - ha però precisato - rimane impegnato a mantenere la legge e l’ordine nel rispetto della Costituzione. Non accetteremo però che si ricorra alla violenza per seminare terrore e paura nel nostro Paese ostacolando il dialogo nazionale e il processo elettorale verso le elezioni del 29 novembre”. Micheletti ha infine spiegato che Tegucigalpa intenderà “rispettare la sovranità dell’ambasciata brasiliana”, la sede diplomatica in cui Zelaya ha riparato dopo il suo rientro clandestino in patria. Nei giorni scorsi il governo “de facto” aveva dato dieci giorni a Brasilia per far uscire Zelaya e consegnarlo alla magistratura locale perché rispondesse di presunti reati penali e attentati alla Costituzione. Un termine oltre il quale non sarebbero state più rispettate le prerogative diplomatiche degli uffici. (mat)

da www.ilvelino.it

Honduras, l'Osa ci riprova con una nuova missione

’Organizzazione degli Stati americani ci riprova. Una delegazione dell’ente panamericano è attesa per venerdì a Tegucigalpa per un nuovo tentativo di mediazione alla crisi politica nel paese centroamericano. Si tratta del secondo tentativo di attraversare la frontiera che l’Osa intraprende questa settimana. Il primo, di domenica scorsa, era stato frustrato dal governo “de facto” che aveva trattenuto i funzionari alla frontiera spiegando che non erano accompagnati dalle dovute “autorizzazioni”. Questa volta l’invito è arrivato invece proprio dal presidente ad interim Roberto Micheletti. Il gruppo di funzionari guidati dal segretario alle Questioni politiche dell’Osa Victor Rico dovrebbe riuscire a cominciare la preparazione del terreno in vista dell’arrivo del segretario generale José Miguel Insulza e di una delegazione di ministri degli Esteri, prevista per il 7 ottobre. Secondo quanto precisato dall’assistente di Insulza e unico rappresentante dell’organizzazione presente a Tegucigalpa, John Biehl, né il presidente “de facto” Roberto Micheletti né il capo di Stato deposto Manuel Zelaya parteciperanno direttamente alle trattative con i ministri dell’Osa. Una delegazione di ministri aveva già tentato, in agosto, di portare le parti ad accettare l’Accordo di San José promosso dal presidente del Costa Rica Oscar Arias, ma la missione si è era conclusa in maniera fallimentare. Dal governo de facto ora sembrano arrivare segnali positivi: Micheletti ha spiegato in un’intervista al quotidiano cileno La segunda che il governo sta lavorando alla deroga del decreto che limita le libertà costituzionali introdotto all’inizio della settimana e sarebbe prossima la sospensione del coprifuoco. (mat)

da www.ilvelino.it

Honduras, la "exit strategy" degli imprenditori

Il presidente de facto di Honduras Roberto Micheletti potrebbe lasciare il potere se il suo predecessore Manuel Zelaya, deposto dalle forze armate lo scorso 28 giugno e attualmente barricato nella sede dell'ambasciata brasiliana da oltre una settimana, accettasse di riassumere il suo incarico solo nominalmente, si sottoponesse alla misura degli arresti domiciliari in attesa di processo e accettasse di lasciare il governo del Paese all'esecutivo. Potrebbe essere questa la via d'uscita alla crisi politica e istituzionale attraversata dal Paese centroamericano secondo l'ipotesi illustrata dall'imprenditore honduregno Adolfo Facussé ai media internazionali. Sulla testa di Zelaya pende un mandato di cattura per una serie di reati politici e comuni per i quali, secondo la proposta di Facussé, dovrebbe accettare di essere giudicato per poter tornare a esercitare, pur solo nominalmente, il ruolo di capo di Stato fino a gennaio, all'insediamento cioè del suo successore eletto dal voto del 29 novembre. L'imprenditore ha spiegato che la sua è una proposta a titolo personale e non dell'Associazione nazionale degli industriali che presiede, dettata dalla volontà di “rompere il ghiaccio” e porre fine allo stallo in cui si trova il negoziato promosso dal presidente del Costa Rica Oscar Arias attraverso l'Accordo di San José. Facussé ha spiegato di aver fatto arrivare questa ipotesi a Micheletti e Zelaya, attraverso il vescovo di Tegucigalpa José Pineda, all'ambasciata degli Usa in Honduras e ai governi di Canada e Panama.

Sul governo de facto starebbero inoltre aumentando le pressioni del settore imprenditoriale che, dopo aver sostenuto più o meno apertamente la presa di potere di Micheletti, starebbe cominciando a manifestare una certa preoccupazione per le conseguenze dell'evoluzione autoritaria della sua gestione del potere, culminata nell'introduzione per decreto di una serie di limitazioni delle libertà costituzionali. Lo scrive il quotidiano argentino La Nacion secondo cui gli imprenditori honduregni sarebbero favorevoli a uno scenario che veda Micheletti favorire il rientro al potere di Zelaya “a titolo simbolico” tra le elezioni di novembre e l'investitura del nuovo presidente a gennaio. Secondo le fonti della testata argentina questa ipotesi sarebbe stata accettata dall'attuale presidente ad interim, mentre Zelaya si sarebbe mostrato contrario, continuando a difendere l'Accordo di San José, che prevede il suo reintegro immediato. Secondo quanto avrebbero spiegato gli imprenditori nel corso di un incontro con l'ambasciatore americano Hugo Llorens, Zelaya non avrebbe nessun potere e ad avere il controllo sarebbe un nuovo governo di unità nazionale che preveda la presenza anche di suoi uomini di fiducia. Questa soluzione potrebbe rappresentare una “via di mezzo” in grado di sbloccare la situazione dando credibilità al processo elettorale e favorendo il riconoscimento dei risultati da parte della comunità internazionale, senza il quale Honduras finirebbe per isolarsi ulteriormente. (mat)

da www.ilvelino.it

mercoledì 23 settembre 2009

Honduras, Micheletti detta le condizioni per dialogo con Zelaya

di Matteo Tagliapietra

l presidente del governo de facto di Honduras, Roberto Micheletti, si è detto disposto a discutere con il capo di Stato eletto Manuel Zelaya, rientrato a sorpresa in patria e barricato nell’ambasciata brasiliana a Tegucigalpa. Un’apertura arrivata nella notte, per bocca del ministro degli Esteri Carlos Lopez, dopo 36 ore di tensione seguite al rientro di Zelaya. Dopo aver tuonato contro Brasilia, chiedendo la consegna del suo predecessore, aver tagliato acqua luce e gas alla sede diplomatica e sgomberato con la forza i suoi sostenitori che avevano deciso di “difendere” con i loro corpi il presidente deposto, il governo “de facto” sembra ora rendersi conto della necessità di lavorare a una via d’uscita. Micheletti ha posto una serie di condizioni: Zelaya deve riconoscere le elezioni convocate per il prossimo 29 novembre, alle quali però il capo di Stato deposto lo scorso 28 giugno non potrà partecipare. Non si potrà “in nessuna maniera” “parlare del ritorno di Zelaya alla presidenza” e “non si può eliminare l’ordine di arresto emesso dalla Corte suprema contro di lui”. Tre richieste che pesano come macigni ma, si legge nel messaggio, necessarie per “raggiungere una soluzione politica che non può in nessuna maniera risolvere le difficoltà legali”. Il governo golpista si è quindi detto pronto a dare inizio a un nuovo dialogo, aperto alla collaborazione dell’Osa (Organizzazione degli Stati americani) e “con chiunque, in qualsiasi luogo e a qualsiasi ora”.

Micheletti poche ore prima aveva chiesto al governo brasiliano di prendere una decisione sul futuro di Zelaya: lasciarlo nelle mani della giustizia honduregna o di portarlo in Brasile, ma poi ha fatto un passo indietro sostenendo che “può rimanere nella sede diplomatica per cinque o dieci anni”. Un segnale della difficoltà per il governo de facto di gestire la presenza del presidente deposto a Tegucigalpa, dove le forze dell’ordine sono intervenute duramente contro i suoi sostenitori. Secondo quanto riportato dai media locali sarebbero quasi duecento le persone arrestate in seguito agli scontri con la polizia, ora detenute nello stadio della capitale. Zelaya ha sostenuto che l’operazione ha prodotto alcuni morti e diversi feriti, informazione smentita dal governo “de facto” che ha pur riconosciuto il controllo totale su tutta l’area circostante esercitato attraverso un serrato anello di sicurezza formato da militari. All’interno della sede diplomatica dopo la carica ai manifestanti si erano rifugiate circa 400 persone, delle quali poco meno di duecento, tra cui molte donne e bambini, hanno poi lasciato l’edificio, dove l’Onu è riuscita a far giungere bevande e alimenti.

L’evolversi della protesta, che aveva portato inizialmente a un prolungamento del coprifuoco, potrebbe spingere il governo de facto, come ammesso dal ministro della Difesa Alfredo Lionel Sevilla in un’intervista radiofonica, a decretare lo stato d’assedio. La preoccupazione per la salute dei manifestanti è stata esplicitata da Luz Mejia, presidente della Commissione interamericana dei diritti umani, che ha riferito di “un consistente numero di manifestanti detenuti, che a quanto pare sono stati portati in uno stadio in condizioni che non siamo stati in grado di verificare”, evidenziando un “uso sproporzionato della forza”. La questione honduregna sarà inevitabilmente al centro dell’Assemblea generale dell’Onu in corso a New York, alla quale prendono parte numerosi leader latinoamericani che, pur con i necessari distinguo, si sono spesi dopo il 28 giugno in difesa di Zelaya. In particolare il governo brasiliano, che si dice involontario protagonista degli ultimi sviluppi della vicenda, ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza sulla crisi che si è aperta dopo il ritorno del deposto presidente Manuel Zelaya, in una lettera ai membri del Consiglio di Sicurezza.

da www.ilvelino.it

Honduras, Zelaya forza la mano e rientra a Tegucigalpa

di Matteo Tagliapietra

A quasi tre mesi dal golpe militare che lo aveva costretto a lasciare il suo Paese, il presidente eletto di Honduras Manuel Zelaya è rientrato a sorpresa nella capitale Tegucigalpa. Una mossa dettata dall'esigenza dei “forzare la mano” al governo de facto guidato da Roberto Micheletti, visto che la data delle prossime elezioni presidenziali, il 29 novembre, si faceva sempre più vicina e con essa la possibilità di rimanere tagliato fuori da qualsiasi possibilità di recuperare il proprio ruolo, per lo meno fino all'insediamento del nuovo capo di Stato a gennaio. L'esecutivo golpista ha inizialmente negato la presenza di Zelaya, decretando però un immediato coprifuoco nel tentativo di impedire che i suoi sostenitori si radunassero nelle strade rischiando di rendere difficile il controllo della situazione. Quando la sua presenza è stata però confermata i golpisti hanno cominciato a fare pressione sull'ambasciata brasiliana, dove Zelaya si è rifugiato, affinché consegnasse il capo di Stato deposto, che deve rispondere di una lunga serie di accuse, alle autorità. La notizia del suo rientro era stata data inizialmente dall'emittente latinoamericana Telesur e da alcuni organi di informazione locali, per poi ricevere la conferma del leader venezuelano Hugo Chavez, che ha raccontato: “Manuel ha viaggiato per due giorni attraversando fiumi e montagne insieme a quattro compagni”, e, successivamente del Dipartimento di Stato Usa.

Proprio Telesur ha poi diffuso le prime immagini di Zelaya nell'ambasciata brasiliana e le sue parole: “Sono qui per avviare un dialogo che consenta il ritorno della democrazia nel Paese”, ha detto facendosi forte del sostegno offerto dalla comunità internazionale. Forse proprio i primi segnali di tentennamento da parte del compatto fronte internazionale che finora lo aveva difeso, ieri il governo di Panama è stato il primo a ipotizzare il riconoscimento del risultato elettorale delle prossime presidenziali, hanno portato Zelaya a decidere di esporsi e di rischiare il ritorno in patria. Il dialogo che si è sviluppato in questi mesi attraverso la mediazione del presidente del Costa Rica Oscar Arias e le crescenti pressioni internazionali contro il governo golpista non sembravano infatti aver scalfito in maniera decisiva le convinzioni di Micheletti, che si era detto disposto ad accettare un ritorno in patria del capo di Stato eletto, valutando la possibilità di un'amnistia, ma aveva escluso l'ipotesi di un suo rientro al potere fino alla fine del mandato.

A destare preoccupazione in queste ore è però, più che il futuro del dialogo politico a cui Zelaya ha chiesto partecipino leader internazionali, la sicurezza dei cittadini honduregni. In migliaia infatti sono scesi in strada per raggiungere l'edificio in cui si trova il capo di Stato e per oggi è previsto l'arrivo a Tegucigalpa di migliaia di suoi sostenitori. Il pericolo è che la decisione del governo de facto di prolungare il coprifuoco, inizialmente destinato a concludersi alle sette di questa mattina (ora locale) e che invece dovrebbe durare fino a sera, possa portare allo scontro tra militari e manifestanti. La paura è che le forze armate abbiano la tentazione di rispondere con le maniere forti alla pressione popolare, come accaduto in occasione di un precedente tentativo di Zelaya di rientrare nel Paese in aereo, che si era concluso con un nulla di fatto e con violenti scontri presso l'aeroporto della capitale. Anche il messaggio lanciato dal presidente eletto, che ha annunciato l'intenzione di non lasciare più il Paese allo slogan “patria restituzione del potere o morte”, mentre Micheletti chiedeva a Brasilia di consegnarlo alle autorità honduregne, addossando al governo di Luiz Iancio Lula da Silva la responsabilità “degli atti violenti che ne potrebbero scaturire”, lascia presagire che il livello della tensione sia destinato a salire ulteriormente.

In un messaggio televisivo il presidente golpista ha dichiarato: “Chiedo al governo brasiliano di rispettare l'ordine giudiziario contro il signor Manuel Zelaya, consegnandolo alle autorità competente”, aggiungendo che “lo Stato di Honduras si impegna a rispettare il diritto a un giusto processo” per il presidente deposto, ma lo accusa di “tentare di ostacolare, così come hanno fatto i suoi sostenitori in queste settimane, la celebrazione delle elezioni del prossimo 29 novembre”. “Siamo di fronte a un problema interno che deve essere risolto dalle autorità, un problema che non concerne la pace o aspetti internazionali”, ha sostenuto Micheletti, accusando in una nota del ministero degli Esteri Brasilia di “violare il diritto internazionale”, permettendo che dalla sua sede diplomatica Zelaya lanci appelli “all'insurrezione e alle mobilitazioni di piazza”. Secondo il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorim, invece, il suo governo non ha avuto nessun ruolo nell'operazione di ritorno di Zelaya, limitandosi a concedere l'ingresso nella sede diplomatica, spiegando che “il presidente ha detto di essere arrivato con mezzi proprie e pacifici”.

Un richiamo alla “calma” è arrivato dal segretario dell'Organizzazione degli Stati americani (Osa) José Miguel Insulza, che ha chiesto alle autorità de facto di “farsi carico della sicurezza del presidente deposto”. Il politico cileno ha inoltre dichiarato a Telesur che Zelaya gli aveva anticipato la usa intenzione di rientrare a Tegucigalpa nei giorni scorsi. In una sessione straordinaria il Consiglio permanente dell'organizzazione continentale ha quindi esortato le parti a firmare “immediatamente” l'accordo di San José promosso da Arias, per consentire una soluzione politica alla crisi del Paese centroamericano ed evitare qualsiasi rischio di violenza. L'Osa ha inoltre chiesto che siano garantite “la vita e l'integrità fisica” di Zelaya e ha invitato “tutti i settori della società honduregna ad agire con responsabilità, evitando atti che possano generare violenza e non contribuiscano alla riconciliazione nazionale”.

Anche dagli Usa è arrivata una presa di posizione analoga: il segretario di Stato Hillary Clinton, al termine di un incontro con Arias, ha evidenziato la necessità, “ora che il presidente Zelaya è tornato”, di “restituirgli l'incarico rispettando le condizioni più appropriate, proseguendo il cammino verso le elezioni previste per novembre, contando su una transizione pacifica del potere presidenziale e consentendo il ritorno del nuovo Honduras all'ordine costituzionale e democratico”. Il presidente del Costa Rica, esprimendo un analogo augurio si è invece offerto di recarsi a Tegucigalpa per mediare tra le parti. Uno dei maggiori sostenitori della “linea dura” contro il governo golpista, il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, anche lui come molti dei principali leader internazionali a New York per l'Assemblea generale dell'Onu, ha invece espresso preoccupazione per il rientro di Zelaya in patria sottolineando: “apre a nuove opportunità, ma potrebbe anche creare forti difficoltà”.

da www.ilvelino.it